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S.C.I.A. e tutela del terzo

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              In materia di rimedi a tutela della posizione di chi si assuma leso dall’attività edilizia posta in essere da altri sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019 vanno privilegiate soluzioni interpretative che evitino un eccessivo sacrificio delle esigenze di tutela di tale soggetto; pertanto, sulla base dell’art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., è possibile individuare in capo alla p.a. un duplice ordine di poteri: gli ordinari poteri di vigilanza e inibitori sull’attività avviata dal segnalante, esercitabili nei termini perentori di cui ai commi 3 e 6-bis del predetto articolo, e il potere di autotutela di cui all’articolo 21-nonies, espressamente fatto salvo dal successivo comma 4 ed esercitabile anche dopo la scadenza dei detti termini; a norma del comma 6-ter, il privato interessato può invitare l’amministrazione a esercitare i poteri ordinari entro il termine, e in caso di inerzia attivare i rimedi processuali avverso il silenzio-inadempimento dell’amministrazione, ma ciò non esclude che egli possa, anche dopo la scadenza del termine, sollecitare l’esercizio del potere di autotutela ove ricorrano i presupposti di cui al citato art. 21-nonies.

           L’autotutela in materia di attività edilizia eseguita sulla base di una SCIA, di cui al comma 4 dell’art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241, presenta alcune peculiarità rispetto al generale potere di autotutela, in quanto, mentre di regola si assume che questo sia ampiamente discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico che può imporne l’esercizio e non coercibile (al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio), ciò non vale in questo caso laddove, anche per l’intima connessione di tale potere col più generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull’attività edilizia ai fini dell’ordinato assetto del territorio, a fronte di un’istanza di intervento ai sensi dell’art. 19, comma 4, l’Amministrazione ha il dovere di rispondere, essendo la sua discrezionalità limitata solo alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’art. 21-nonies.

Cons. St., sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737

  La sentenza della Corte costituzionale ha affrontato la questione di legittimità costituzionale del comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, il quale comma, chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo interessato la facoltà di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a. Nulla prevede la disposizione circa il termine entro cui va avanzata la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica.

Ebbene, la sentenza della Corte costituzionale, intervenuta nel corso del giudizio di primo grado, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale poste, ha chiarito che il comma 6-ter - introdotto nel 2011 - dell’art. 19 della legge n. 241/1990 è conforme a Costituzione. Tale comma ha escluso l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) a fronte dei solleciti degli interessati in presenza di DIA/SCIA presentate da terzi e ha quindi limitato le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento.

La sentenza della Corte costituzionale ha inoltre chiarito che il termine entro cui gli interessati possono produrre osservazioni sollecitando interventi dell’amministrazione – senza il quale si avrebbe un potere temporalmente illimitato e in bianco, in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità - è correlato alle verifiche cui è chiamata l’amministrazione ex art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni (questi ultimi per i casi di SCIA in materia edilizia) decorrenti dalla data di presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-nonies).

Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo.

Segnatamente, la Corte ha ricordato che il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla p.a. un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA (trenta per la SCIA in materia edilizia); mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies della stessa legge n. 241 del 1990.

Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela di atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.

Il comma 6-bis dell’art. 19 consente di applicare questa disciplina anche alla SCIA edilizia, prevedendo che restano ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali. La Corte ha inoltre sottolineato che è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter.

La sentenza n. 45/2019 ha riconosciuto che possa comunque sussistere un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo, che ciò trascenda la norma impugnata e che esso vada affrontato in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati a tutela della situazione giuridica del terzo. Si è quindi soffermata sui rimedi a tutela dell’interesse legittimo del terzo, per annotare conclusivamente che tutto ciò non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.

La piana lettura della sentenza della Corte costituzionale fa emergere l’esigenza che, anche in sede interpretativa, vengano privilegiate soluzioni che evitino un irragionevole sacrificio degli interessi del terzo e scongiurino il rischio del vulnus paventato. Insieme, la sentenza dà risalto alla piena compatibilità e complementarietà dei due rimedi: l’esercizio dei poteri inibitori, repressivi e conformativi, entro trenta giorni dalla presentazione della SCIA in materia edilizia, e quello dell’autotutela di cui all’articolo 21-nonies.

Vanno quindi messi a raffronto due disposizioni dell’art. 19 della legge n. 241: il comma 4 che, decorso il termine (in questo caso) di 30 giorni, consente comunque all’amministrazione di esercitare il proprio potere in autotutela secondo quanto previsto dall’art. 21-nonies; il comma 6-ter, che consente il sollecito da parte degli interessati delle verifiche da parte dell’amministrazione che, ove non disposto, è azionabile esclusivamente con il rito avverso il silenzio, dal momento che la SCIA e la DIA non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.

Peraltro, in tal modo non viene preclusa, per una precisa scelta legislativa, la possibilità per il terzo di richiedere l’intervento in autotutela da parte dell’amministrazione, alle condizioni e nei tempi previsti dall’art. 21-nonies della legge n. 241, cui rinvia l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990.

Ove l’amministrazione adotti un provvedimento di rigetto dell’istanza del terzo, volta a ottenere l’esercizio del potere in autotutela, il terzo medesimo può fare valere in giudizio le proprie ragioni avverse.

 

 

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