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Diritto all'oblio

Con ordinanza n. 2893 del 31 gennaio 2023, la prima sezione civile della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di tutela della riservatezza e del diritto all’oblio con particolare riferimento alla deindicizzazione degli articoli dai normali motori di ricerca.

Per «deindicizzazione» (c.d. delisting) si intende un'operazione sostanzialmente differente dalla rimozione o cancellazione di un contenuto: la deindicizzazione non lo elimina, ma lo rende non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all'archivio in cui quel contenuto si trova (cfr. Cass. civ., sez. I, 24 novembre 2022, n. 34658). Il diritto di ogni persona all'oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all'identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all'informazione, sicché, anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 17 Regolamento (UE) 2016/679, qualora sia pubblicato sul web un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la deindicizzazione dell'articolo dal motore ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest'ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate (Cass. civ., sez. I, 31 maggio 2021, n. 15160). E ciò si spiega perché il diritto all'oblio consiste nel non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato, ma la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, sicché nel caso di notizia pubblicata sul web, il medesimo può trovare soddisfazione anche nella sola deindicizzazione dell'articolo dai motori di ricerca (Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2020, n. 9147). Anche le Sezioni Unite civili hanno avuto modo di interloquire, precisando che la menzione degli elementi identificativi delle persone protagonisti di fatti e vicende del passato è lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati di alla riservatezza rispetto ad avvenimenti ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (Cass. civ., sez. un., 22 luglio 2019, n. 19681).

Il caso in esame, che sempre più frequentemente viene sottoposto al giudizio della Suprema Corte, riguarda l'archivio storico on line di un quotidiano, che per sua natura deve conservare esattamente la memoria degli articoli, a suo tempo legittimamente pubblicati nell'esercizio del diritto di cronaca giornalistica per l'interesse pubblico che circondava la vicenda (normalmente, e in questo caso, una indagine giudiziaria penale), e la legittima aspirazione delle persone coinvolte in quei fatti e in quell'indagine, una volta cessato il clamore e l'interesse pubblico per il decorso del tempo, a non vedersi consegnati al ricordo collettivo in quei termini, tanto più quando l'esito finale del processo penale li abbia visti scagionati e assolti. Rischio questo amplificato dalla potenza evocatrice dei motori di ricerca nell'ambiente internet che, tramite il collegamento alle loro generalità, permette con estrema facilità di rinvenire in rete, anche molti anni dopo, la traccia di quelle notizie e di quegli articoli. Si delinea quindi un conflitto tra gli interessi in gioco e si pone il problema del necessario bilanciamento fra il diritto all'informazione, nel caso, declinato nella forma della conservazione dell'archivio storico delle informazioni pubblicate, da un lato, e il diritto degli interessati a veder calare il velo dell'oblio sulle vicende giudiziarie che li avevano coinvolti. La Suprema Corte ritiene che l'equo contemperamento dei diritti in conflitto non possa essere raggiunto attraverso l'accoglimento della richiesta di cancellazione tout court degli articoli in questione dall'archivio on line del quotidiano, che annichilerebbe con l'iperprotezione dei diritti alla riservatezza degli interessati la funzione di memoria storica e documentale dell'archivio del giornale, che è oggetto di un rilevante interesse pubblico, di rilievo anch'esso costituzionale ex artt. 21 e 33 Cost., come rammenta esattamente la controricorrente. In altri termini, non sarebbe più possibile accedere all'originario contenuto degli articoli ad uno studioso, storico o sociologo, intenzionato a ricostruire l'andamento dei processi per reati contro la pubblica amministrazione in quell'epoca, per esaminare il contenuto delle accuse e il loro esito; e ciò anche se, poniamo, l'obiettivo della sua inchiesta fosse rivolto a dimostrare gli eccessi di repressione giudiziaria o gli abusi della carcerazione preventiva in un certo contesto spazio-temporale oppure l'atteggiamento, più o meno «giustizialista» o «garantista», della stampa e dell'opinione pubblica in quel contesto. Una via adeguata di contemperamento non è neppure quella della manipolazione del testo con l'introduzione di pseudonimi sostitutivi o omissioni nominative, pur astrattamente contemplata dal GDPR. Infatti, lo stesso art. 89 GDPR consente tali accorgimenti solo se le finalità in questione possano essere conseguite in tal modo e non è questo il caso. La memoria storica dell'archivio diverrebbe incompleta e falsata e così se ne perderebbe la funzione.

Non è così per la richiesta di aggiornamento mediante la mera apposizione agli articoli, su istanza dell'interessato, di una nota informativa volta a dar conto del successivo esito dei procedimenti giudiziari con l'assoluzione degli interessati e il risarcimento del danno per ingiusta detenzione. In tal modo l'identità dell'articolo, che in sé e per sé rimane intonso, è adeguatamente preservata a fini di ricerca storico-documentaristica, ma al contempo vengono rispettati i fondamentali principi di minimizzazione ed esattezza sopra illustrati.

La soluzione accolta è inoltre conforme al principio di contestualizzazione e aggiornamento dell'informazione. Non si richiede infatti al gestore dell'archivio di attivarsi in via generale per l'aggiornamento delle informazioni alla luce degli sviluppi giudiziari successivi, che genererebbe effettivamente costi ingenti e insostenibili, incompatibili con la persistente economicità degli archivi, ma solo di corrispondere senza ritardo a puntuali e specifiche richieste degli interessati, documentalmente suffragate, non solo con la deindicizzazione ma anche con l'apposizione di una breve nota informativa sull'esito finale della vicenda giudiziaria, in calce o a margine della pagina ove figura l'articolo.

La regola fondamentale per ogni bilanciamento di diritti richiede la valutazione comparativa della gravità del sacrificio imposto agli interessi in conflitto: la normale tollerabilità di una ingerenza nel diritto altrui, secondo una risalente ma autorevolissima dottrina, va accertata anche alla luce dei costi necessari per prevenirla. E nel caso è sufficiente un costo modesto (l'inserzione di una breve nota in calce o a margine e solo su richiesta di parte, che non altera la funzione tipica dell'archivio) per la prevenzione di un pregiudizio ben più consistente per l'interessato. Tale modesto sacrificio ben può essere accollato a chi gestisce l'impresa giornalistica, in logica di profitto, quale onere accessorio all'attività imprenditoriale, che scatta solo se ed in quanto l'interessato richieda la rettifica esplicativa del dato personale e l'inesattezza del dato viene dedotta sulla base di accertamenti obiettivi e incontrovertibili quali quelli provenienti da un documentato accertamento giudiziario passato in giudicato. Naturalmente questa tutela si aggiunge a quella consistente nella deindicizzazione.

La Suprema Corte, al termine, ha enunciato il seguente principio di diritto: in tema di trattamento dei dati personali e di diritto all'oblio, è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell'archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell'assoluzione dell'imputato, purché, a richiesta dell'interessato, l'articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l'archivio storico del quotidiano e purché, a richiesta documentata dell'interessato, all'articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell'esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale.

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