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SCIA impianti energia rinnovabile

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Con sentenza n. 130 del 4 gennaio 2023, n. 130, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha ribadito il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 2018, n. 5715), secondo cui la procedura abilitativa semplificata di cui all’art. 6, D.L.vo 3 marzo 2011, n. 28 (promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) è ascrivibile al genus della DIA, ora SCIA, e conseguentemente va qualificato quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2011, n. 15).

Al decorso del termine di legge di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, non si determina infatti il perfezionamento di una fattispecie legale tipica che, sul piano della produzione degli effetti, rende l’inerzia equivalente ad un vero e proprio provvedimento di accoglimento, come avviene per la fattispecie del silenzio assenso, bensì, più semplicemente, si determina l’effetto di rendere una determinata attività privata lecita, secondo il meccanismo proprio della Scia; ciò in linea con la diversa natura dei due istituti, laddove il primo risponde ad una ratio di semplificazione amministrativa, mentre il secondo di vera e propria liberalizzazione, con conseguente fuoriuscita dell’attività privata dal regime amministrato a controllo preventivo.

La ricostruzione che precede è stata confermata dalla Corte costituzionale che con sentenza n. 45 del 2019 ha ritenuto, in generale con riguardo alla SCIA, che: “il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere”.

Ne segue che nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, una volta decorso pacificamente il termine di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione asseverata, senza che il Comune avesse notificato l’ordine di non effettuare l’intervento, a motivo della riscontrata carenza di una o più delle condizioni stabilite dall’articolo in questione, l’attività di costruzione dell’impianto doveva intendersi definitivamente assentita. In senso contrario non vale invocare il principio giurisprudenziale secondo cui “il titolo abilitativo tacito può formarsi solo se ricorrano tutti i presupposti necessari, essendo questi gli elementi costitutivi della fattispecie” e ciò non tanto perché si tratta di principio affermato con riferimento al diverso istituto del silenzio assenso di cui all’art. 20, L. 7 agosto 1990, n. 241, non ricorrente nel caso di specie, ma perché le due condizioni che il T.a.r. ha accertato come insussistenti dovevano costituire proprio l’oggetto delle verifiche istruttorie che il Comune era tenuto a compiere nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 6, comma 2, D.L.vo. n. 28 del 2011, pena la decadenza del potere interdittivo con l’effetto di rendere lecita l’attività privata.

Ed infatti il comma 2 del menzionato art. 6 indica in modo puntuale, tra gli altri requisiti da accertare, i soggetti legittimati a presentare la dichiarazione asseverata, individuandoli nel “proprietario dell’immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall’impianto e dalle opere connesse”, sicché allorquando, al successivo comma 4, la disposizione in esame prevede che il Comune notifichi all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento “ove entro il termine indicato al comma 2 sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite al medesimo comma” onera il Comune di accertare specificamente anche le condizioni di legittimazione alla presentazione della dichiarazione nel predetto termine decadenziale, pena il perfezionamento della fattispecie legittimante l’intervento. Non vale opporre, sempre in senso ostativo al perfezionamento del titolo privato di legittimazione alla costruzione dell’impianto, che, ai sensi di quanto previsto dalle Linee guida di cui al D.M. 10.9.2010, punto 11.4, la mancanza della disponibilità delle aree sarebbe ostativa al ricorso alla DIA, integrando un requisito di ammissibilità del ricorso a tale istituto, come tale accertabile in ogni momento dalla amministrazione procedente, poiché il D.L.vo 3 marzo 2011, n. 28 qualifica la disponibilità delle aree dove localizzare l’impianto e la infrastruttura di connessione alla stregua di un requisito costitutivo del titolo privato di legittimazione e, trattandosi di disposizione temporalmente successiva alle linee guida ministeriali, prevale su queste ultime, modificando la natura del requisito in parola da condizione di ammissibilità della SCIA, accertabile in ogni momento dalla amministrazione procedente, in elemento costitutivo della fattispecie, da accertare nel termine decadenziale di trenta giorni, secondo quanto previsto dal combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 6.

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