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Iscrizione nella cd. "White list" ed ecomafie

Ecomafie, storia di una parola e una lotta | lavialibera

 

Il Consiglio di Stato, Sez. III, 16.01.2023, sent. n. 491 ha ribadito alcuni principi in merito alla legittimità del diniego dell’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (cd. White list), di cui all’art. 1, comma 52., del 6 novembre 2012, n. -OMISSIS-, per le attività di “trasporto di materiali a discarica per conto terzi e smaltimento di rifiuti conto terzi.

È già stato evidenziato in giurisprudenza che l’interesse che muove le organizzazioni criminali di tipo mafioso nel settore dei rifiuti rappresenta oramai un fatto notorio, tanto che è stato coniato un termine ad hoc per definirle, “ecomafie”.

L’attenzione dell’ordinamento per i fenomeni illeciti che possono interessare l’intero ciclo della gestione dei rifiuti è, pertanto, massima, in ragione del disvalore sociale e del notevole danno, ambientale. ma non solo, che l’infiltrazione di soggetti portatori di interessi contrastanti con gli interessi dello Stato-comunità comporta (Cons. di Stato, sent. n. 4168 del 2020).

Il danno ambientale, che deriva dalla raccolta, dal trattamento e dallo smaltimento illecito di rifiuti, specialmente se speciali o pericolosi, è definitivo e, nella quasi totalità delle ipotesi, irreparabile: ciò impone all’Autorità preposta di esercitare l’ampia gamma di poteri che il Legislatore le ha attribuito, in una fase preventiva rispetto alla causazione del danno.

Il bene ambiente non riceve una tutela adeguata se protetto esclusivamente mediante norme di matrice penalistica, volte a reprimere un illecito che si è già perfezionato e che ha già prodotto danni e modifiche permanenti nella realtà naturale: l’intervento dello Stato non è, in tale ipotesi, né tempestivo, né esaustivamente utile, consistendo in ultima analisi l’interesse pubblico alla salubrità dell’ambiente non nella percezione di un ristoro monetario in conseguenza della sua compromissione, o nella mera punizione dei responsabili, bensì nell’impedimento stesso della causazione del danno.

Risulta evidente, pertanto, la stretta correlazione che intercorre tra la prevenzione del danno ambientale e le misure anticipatorie e preventive che l’Autorità pubblica deve porre in essere in tutti i settori interessati.

In particolare, il Legislatore ha mostrato di ritenere estremamente gravi talune fattispecie di reato, con riferimento alle quali ha posto, in buona sostanza, una presunzione assoluta di pericolosità, che vincola l’Autorità competente (la Prefettura) ad adottare l’informativa interdittiva antimafia nei confronti dell’impresa o della società che sia stata interessata da provvedimenti dell’autorità penale per determinati reati.

L’art. 84, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 dispone che le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, di cui al comma 3, sono desunte, fra l’altro, “dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli artt. 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e di cui all’art. 12-quinquies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 1992, n. 356”.

Nell’elaborare tale catalogo di reati, che costituiscono di per sé soli una spia sufficiente della permeabilità dell’impresa ad infiltrazioni e condizionamenti da parte delle consorterie criminali, il Legislatore ha inteso operare una selezione a monte delle fattispecie suscettibili di destare maggiore allarme sociale, in presenza quali l’Autorità amministrativa non può, pertanto, compiere alcun apprezzamento di natura discrezionale, ma è vincolata all’emissione della misura interdittiva antimafia.

Pertanto, come anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato (si vedano, per tutte, le sentt. 2 maggio 2019, n. 2855; 27 novembre 2018, n. 6707; 28 ottobre 2016, n. 4555), la finalità preventiva ed anticipatoria che permea l’istituto in esame giustifica l’attivazione dei poteri inibitori di cui è titolare l’Autorità di Pubblica Sicurezza in uno stadio assolutamente preliminare del procedimento penale e, quindi, senza che si sia giunti alla pronuncia di un provvedimento di condanna definitiva ed alla formazione del relativo convincimento “oltre ogni ragionevole dubbio”: la ratio di anticipazione della tutela nel settore del contrasto alla criminalità organizzata impone al Prefetto di attestare, sinché non intervenga una sentenza assolutoria, la sussistenza del rischio infiltrativo siccome desunto dalla mera ricognizione della vicenda penale e dalla pronuncia di provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna pur se non definitiva.

Alla luce dei principî sin qui evidenziati è pacifico che il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. rientra tra i reati elencati dall’art. 51, c. 3 bis, c.p.p. -disposizione questa espressamente richiamata all’art. 84, comma 4, lett. a), d.lgs. 159/2011, nell’ambito della tipizzazione delle ipotesi di c.d. delitti-spia - dei quali l’Autorità prefettizia è tenuta ad emettere la cautela antimafia, pur in assenza di un accertamento definitivo in sede penale e, quindi, anche ad uno stadio assolutamente preliminare quale quello delle indagini preliminari, coerentemente con la finalità marcatamente preventiva dell’istituto.

La gravità della condotta contestata è tale che potrebbe di per sé sola comportare una legittima misura preventiva (il diniego di iscrizione nella White list) : “il delitto di cui all’art. 260 del d.lgs. n.152/2006 costituisce elemento di per sé bastevole a giustificare il diniego…, perché il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso” (cfr. Cons. St., Sez. III, n. 1315/2017, n. 6618/2012, n. 1632/2016, n. 4555/2016, n. 4556/2016, n. 1109/2017).

E’ stato, in particolare, evidenziato dalla giurisprudenza che “il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già di per se stessi, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al pericolo di infiltrazioni di malaffare, tanto più, nel caso di specie, ove si consideri che la società in questione si occupa proprio dello smaltimento dei rifiuti” (Cons. Stato Sez. III, 28/04/2016, n. 1632).

La commissione dei c.d. “reati spia” sarebbe già da sola sufficiente ad integrare il rilascio delle cautele antimafia, senza necessità di approfondimenti ulteriori. Per altro verso, il combinato disposto tra le lettere d) ed e) dell’art. 84, comma 4, e l’art. 91, comma 6, del Codice n. 159 del 2011 istituiscono un vero e proprio meccanismo di chiusura, che consente al Prefetto di valutare qualsiasi elemento da egli ritenuto sintomatico del rischio di infiltrazione mafiosa.

L’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), difatti, stabilisce che tale rischio può essere desunto da accertamenti ritenuti opportuni e posti in essere dal Prefetto competente, con possibilità di delega alle Prefetture di altre province (in caso di indagini da effettuarsi nel territorio di relativa competenza).

L’art. 91, comma 6, inoltre, consente al Prefetto di “desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”.

In conclusione, il pericolo di infiltrazione mafiosa può essere desunto da qualunque elemento ritenuto sintomatico secondo la valutazione discrezionale del prefetto, oltre che da provvedimenti di condanna per reati ugualmente strumentali all’attività delle organizzazioni criminali (ma non elencati tra quelli “spia”), da valutarsi unitamente ad ulteriori fattori che rendano concreto detto pericolo.

La discrezionalità amministrativa conferita dalle norme in esame ha indotto la giurisprudenza ad elaborare criteri per stabilire la legittimità delle valutazioni compiute in sede di interdittiva: la valutazione compiuta dal Prefetto è “sindacabile in sede giurisdizionale in caso di illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti”, mentre al giudice amministrativo è precluso l’accertamento dei fatti posti a fondamento dell’atto.

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