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Principio del risultato e qualità della prestazione

Il “principio di risultato” nella bozza del nuovo Codice dei contratti  pubblici -

Il principio del risultato, codificato all’interno del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), impone che l’azione delle stazioni appaltanti si deve orientare all’affidamento del contratto ed alla sua esecuzione “con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo”.

Nella dinamica concorrenziale l’impresa deve essere  in grado di rispondere ad una domanda pubblica qualificata, nel senso della soddisfazione anche di interessi superindividuali ritenuti meritevoli dalla stazione appaltante, risultando ben possibile ridurre la platea degli operatori economici capaci di formulare un’offerta conforme al risultato che la commessa pubblica intende raggiungere. Nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche - uno “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente.

Se si considera tale fondamentale quadro, la “migliore offerta” è dunque quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti.
Nel caso di specie, l'appellante non è stata in grado di offrire un prodotto conforme agli standard qualitativi richiesti dalla stazione appaltante: dunque la sua offerta non poteva essere la migliore, e prima ancora non poteva essere ammessa in gara. Deve escludersi dal bando di gara che il possesso requisito relativo alla certificazione EMAS possa ricavarsi dalla valutazione di conformità al sistema di gestione ambientale UNI EN ISO 14001:2015.

Tale previsione, lungi dal ridursi ad un vuoto formalismo, è invece posta a presidio della sostanziale corrispondenza di quanto offerto a quanto domandato, dal momento che un accertamento meno rigoroso, o lasciato ad organismi o professionisti che non offrono le medesime garanzie, esporrebbe le amministrazioni, e soprattutto la platea dei fruitori del servizio, al rischio di una prestazione priva delle caratteristiche richieste.
Il problema della dimostrazione – secondo le modalità richieste – del requisito qualitativo non è dunque un problema di forma, ma di sostanza.

Ne consegue che non può richiamarsi a questo scopo il principio del risultato, anche alla luce del significato ad essa attribuito dal  d. lgs. n. 36 del 2023: questo infatti non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione.
Il richiamo alla nozione di risultato integra i parametri di legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito, e di metodo) oltre che di astratta conformità al paradigma normativo.


Nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, il risultato sotteso alla commessa riguarda, per precisa scelta dell’amministrazione committente, non la prestazione del servizio di ristorazione scolastica in quanto tale, ma quella relativa ad un servizio caratterizzato dalla conformità a politiche ambientali per lo sviluppo sostenibile.
Il fatto che l’operatore economico non possedesse il requisito richiesto (secondo le regole relative allo stesso) esclude che la selezione della sua offerta potesse rappresentare un risultato conforme alla tutela degli interessi sottesi alla commessa pubblica, come cristallizzati nella legge di gara, o addirittura la “migliore offerta” in un’ottica di risultato. Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza n. 11322/2023.

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