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S.C.I.A. e tutela del terzo

Tutto su Permesso di costruire, Segnalazioni (S.C.I.A., S.C.A.),  Comunicazioni (C.I.L., C.I.L.A.) ed Edilizia libera

              In materia di rimedi a tutela della posizione di chi si assuma leso dall’attività edilizia posta in essere da altri sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019 vanno privilegiate soluzioni interpretative che evitino un eccessivo sacrificio delle esigenze di tutela di tale soggetto; pertanto, sulla base dell’art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., è possibile individuare in capo alla p.a. un duplice ordine di poteri: gli ordinari poteri di vigilanza e inibitori sull’attività avviata dal segnalante, esercitabili nei termini perentori di cui ai commi 3 e 6-bis del predetto articolo, e il potere di autotutela di cui all’articolo 21-nonies, espressamente fatto salvo dal successivo comma 4 ed esercitabile anche dopo la scadenza dei detti termini; a norma del comma 6-ter, il privato interessato può invitare l’amministrazione a esercitare i poteri ordinari entro il termine, e in caso di inerzia attivare i rimedi processuali avverso il silenzio-inadempimento dell’amministrazione, ma ciò non esclude che egli possa, anche dopo la scadenza del termine, sollecitare l’esercizio del potere di autotutela ove ricorrano i presupposti di cui al citato art. 21-nonies.

           L’autotutela in materia di attività edilizia eseguita sulla base di una SCIA, di cui al comma 4 dell’art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241, presenta alcune peculiarità rispetto al generale potere di autotutela, in quanto, mentre di regola si assume che questo sia ampiamente discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico che può imporne l’esercizio e non coercibile (al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio), ciò non vale in questo caso laddove, anche per l’intima connessione di tale potere col più generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull’attività edilizia ai fini dell’ordinato assetto del territorio, a fronte di un’istanza di intervento ai sensi dell’art. 19, comma 4, l’Amministrazione ha il dovere di rispondere, essendo la sua discrezionalità limitata solo alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’art. 21-nonies.

Cons. St., sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737

  La sentenza della Corte costituzionale ha affrontato la questione di legittimità costituzionale del comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, il quale comma, chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo interessato la facoltà di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a. Nulla prevede la disposizione circa il termine entro cui va avanzata la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica.

Ebbene, la sentenza della Corte costituzionale, intervenuta nel corso del giudizio di primo grado, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale poste, ha chiarito che il comma 6-ter - introdotto nel 2011 - dell’art. 19 della legge n. 241/1990 è conforme a Costituzione. Tale comma ha escluso l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) a fronte dei solleciti degli interessati in presenza di DIA/SCIA presentate da terzi e ha quindi limitato le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento.

La sentenza della Corte costituzionale ha inoltre chiarito che il termine entro cui gli interessati possono produrre osservazioni sollecitando interventi dell’amministrazione – senza il quale si avrebbe un potere temporalmente illimitato e in bianco, in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità - è correlato alle verifiche cui è chiamata l’amministrazione ex art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni (questi ultimi per i casi di SCIA in materia edilizia) decorrenti dalla data di presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-nonies).

Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo.

Segnatamente, la Corte ha ricordato che il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla p.a. un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA (trenta per la SCIA in materia edilizia); mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies della stessa legge n. 241 del 1990.

Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela di atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.

Il comma 6-bis dell’art. 19 consente di applicare questa disciplina anche alla SCIA edilizia, prevedendo che restano ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali. La Corte ha inoltre sottolineato che è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter.

La sentenza n. 45/2019 ha riconosciuto che possa comunque sussistere un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo, che ciò trascenda la norma impugnata e che esso vada affrontato in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati a tutela della situazione giuridica del terzo. Si è quindi soffermata sui rimedi a tutela dell’interesse legittimo del terzo, per annotare conclusivamente che tutto ciò non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.

La piana lettura della sentenza della Corte costituzionale fa emergere l’esigenza che, anche in sede interpretativa, vengano privilegiate soluzioni che evitino un irragionevole sacrificio degli interessi del terzo e scongiurino il rischio del vulnus paventato. Insieme, la sentenza dà risalto alla piena compatibilità e complementarietà dei due rimedi: l’esercizio dei poteri inibitori, repressivi e conformativi, entro trenta giorni dalla presentazione della SCIA in materia edilizia, e quello dell’autotutela di cui all’articolo 21-nonies.

Vanno quindi messi a raffronto due disposizioni dell’art. 19 della legge n. 241: il comma 4 che, decorso il termine (in questo caso) di 30 giorni, consente comunque all’amministrazione di esercitare il proprio potere in autotutela secondo quanto previsto dall’art. 21-nonies; il comma 6-ter, che consente il sollecito da parte degli interessati delle verifiche da parte dell’amministrazione che, ove non disposto, è azionabile esclusivamente con il rito avverso il silenzio, dal momento che la SCIA e la DIA non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.

Peraltro, in tal modo non viene preclusa, per una precisa scelta legislativa, la possibilità per il terzo di richiedere l’intervento in autotutela da parte dell’amministrazione, alle condizioni e nei tempi previsti dall’art. 21-nonies della legge n. 241, cui rinvia l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990.

Ove l’amministrazione adotti un provvedimento di rigetto dell’istanza del terzo, volta a ottenere l’esercizio del potere in autotutela, il terzo medesimo può fare valere in giudizio le proprie ragioni avverse.

 

 

Impianti agro-fotovoltaici

Agrivoltaico: metà agricoltura e metà fotovoltaico

- Il caso - Il ricorrente impugnava innanzi il TAR gli atti di diniego delle amministrazioni competenti al rilascio del provvedimento unico regionale (PUAR) per il progetto di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte solare. In particolare si trattava di un impianto agro-fotovoltaico di potenza complessiva pari a 6,6 MW. Il procedimento era stato archiviato sulla base dei pareri negativi del Comitato regionale per la VIA e della Soprintendenza locale.

 - La decisione - Il Tar Puglia, sent. n. 248/2022 ha chiarito che:
- mentre nel caso di impianti fotovoltaici tout court il suolo viene reso impermeabile, viene impedita la crescita della vegetazione e il terreno agricolo, quindi, perde tutta la sua potenzialità produttiva,
nell’agro-fotovoltaico l’impianto è invece posizionato direttamente su pali più alti e ben distanziati tra loro, in modo da consentire la coltivazione sul terreno sottostante e dare modo alle macchine da lavoro di poter svolgere il loro compito senza impedimenti per la produzione agricola prevista. Pertanto, la superficie del terreno resta permeabile, raggiungibile dal sole e dalla pioggia, e utilizzabile per la coltivazione agricola.

Per tali ragioni, i giudici hanno ritenuto evidente l’illegittimità degli atti impugnati, i quali avevano posto a base decisiva del divieto il presunto contrasto del progetto con una normativa tecnica (le previsioni del Piano paesaggistico territoriale regionale - PPTR) inconferente nel caso di specie, in quanto dettata con riferimento agli impianti fotovoltaici, ma non anche con riferimento agli impianti agro-fotovoltaici, nei termini appena descritti.

 - La presenza di altri impianti - Sono state ritenute prive di rilievo le censure rappresentate dall’indice di pressione cumulativa, che sarebbe stato nel caso di specie superato, stante l’insistenza di altri impianti in zona. Sul punto è stato ribadito che gli impatti cumulativi vanno misurati in presenza di progetti analoghi tra di loro, mentre così non è nel caso di impianto agro-fotovoltaico, compatibile con l’utilizzo agricolo del terreno, rispetto agli impianti esistenti di tipo fotovoltaico “classico” che non consentono invece la coltivazione nei luoghi su cui sono installati.

 - Conclusioni Le norme che regolano il rilascio delle autorizzazioni ambientali per l’installazione degli impianti fotovoltaici di tipo “classico” non posso essere applicate agli impianti agro-fotovoltaici di nuova generazione che, per le caratteristiche suesposte, non rientrano nella tipologia dei precedenti impianti.

Soccorso istruttorio in sede di gara pubblica

Immagine dell'articolo: <span>Il soccorso istruttorio: genesi, orientamenti e analisi</span>

All’esito di un complesso itinerario normativo, del soccorso istruttorio è ora possibile avvalersi in sede di gara pubblica non soltanto per ‘regolarizzare’, ma anche per ‘integrare’ la documentazione mancante; l’attuale art. 83, comma 9, del codice dei contratti pubblici (come novellato dall’art. 52, comma 1, lettera d, d.lgs. n. 56 del 2017, che non prevede neanche più il pagamento di una sanzione pecuniaria) è chiaro nell’estendere l’ambito applicativo del soccorso istruttorio a tutte «le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda» e, in particolare, ai casi di «mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo». Le fattispecie sottratte all’operatività dell’istituto sono oggi costituite soltanto dalle carenze e irregolarità che afferiscono «all’offerta economica e all’offerta tecnica», e dalla «carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa» . 

  Cons. St., sez. VI, 24 febbraio 2022, n. 1308 

Come è noto, la legge generale sul procedimento amministrativo attribuisce al responsabile del procedimento il compito di chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete (legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 6, comma 2, lettera b). 

Nonostante la suddetta disposizione indichi che il responsabile del procedimento «può chiedere», la giurisprudenza ha finito per considerare il c.d. soccorso istruttorio come un dovere e non come una mera facoltà (cfr. ex plurimis: Consiglio di Stato, sez. V, 5 dicembre 2012, n. 6248).  

L’istituto è volto a garantire la massima collaborazione possibile tra privato ed amministrazione pubblica e, nel contempo, il soddisfacimento della comune esigenza alla definizione del relativo procedimento, con il risultato che l’esclusione da una procedura amministrativa per motivi di carattere squisitamente formale è giustificata soltanto se necessario per la tutela di contrapposti valori giuridici. 

Se tale necessità non ricorre, è lo stesso principio di proporzionalità a rendere irragionevole l’adozione di un provvedimento negativo basato sulla mera incompletezza o erroneità dell’istanza. 

Mentre nei procedimenti non comparativi il soccorso istruttorio dispiega la sua massima portata applicativa, nelle procedure selettive si impone un delicato bilanciamento tra i contrapposti interessi ‒ segnatamente: la massima partecipazione e la par condicio tra i concorrenti ‒ che la giurisprudenza ha in passato ritenuto di effettuare, distinguendo tra ‘regolarizzazione’, generalmente ammessa, ed ‘integrazione’ documentale, viceversa esclusa in quanto comportante un vulnus del principio di parità di trattamento tra i concorrenti. 

Sullo specifico terreno dei contratti pubblici, il legislatore ha inteso superare tale impostazione, ampliando l’ambito applicativo dell’istituto e superando quelle concezioni rigidamente formalistiche e burocratiche del diritto amministrativo che continuavano ad incentivare il contenzioso (ridotto ad una sorta di ‘caccia all’errore’ nel confezionamento della documentazione allegata alla domanda), con effetti pregiudizievoli in termini di tempestivo ed efficiente completamento delle procedure. 

All’esito di un complesso itinerario normativo, del soccorso istruttorio è ora possibile avvalersi, non soltanto per ‘regolarizzare’, ma anche per ‘integrare’ la documentazione mancante. 

L’attuale art. 83, comma 9, del codice dei contratti pubblici (come novellato dall’art. 52, comma 1, lettera d, del decreto legislativo n. 56 del 2017, che non prevede neanche più il pagamento di una sanzione pecuniaria) è chiaro nell’estendere l’ambito applicativo del soccorso istruttorio a tutte «le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda» e, in particolare, ai casi di «mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo». 

Le fattispecie sottratte all’operatività dell’istituto sono oggi costituite soltanto dalle carenze e irregolarità che afferiscono «all’offerta economica e all’offerta tecnica», e dalla «carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa». 

È quindi consentito alle amministrazioni aggiudicatrici di chiedere agli operatori economici di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione ove incomplete o non corrette, purché questo venga fatto entro un termine adeguato. 

Resta fermo che il mancato possesso (sostanziale) dei prescritti requisiti di partecipazione (alla data di presentazione della domanda) non è sanabile e determina l’esclusione dalla procedura di gara. 

Il soccorso istruttorio è espressione del ‘giusto procedimento’ e sottende una puntuale direttrice di valore: le regole precettive che disciplinano l’azione amministrativa non possono essere invocate per tutelare pretese che esulano dalla sfera di protezione degli interessi (pubblici e privati) che l’ordinamento, tramite di esse, intende presidiare. 

La procedimentalizzazione dei meccanismi di scelta (in cui consiste la disciplina della contrattualistica pubblica) è informata a due principali rationes: da un lato, è volta a prevenire arbitrio o corruttela; dall’altra, ha lo scopo di emulare le dinamiche della concorrenza (ciò in quanto l’Amministrazione pubblica non è in grado di percepire, come i comuni operatori privati, il vincolo esterno del mercato). 

Lo scopo della gara è dunque quello di selezionare il concorrente che, in possesso dei requisiti richiesti dalla legge di gara, risulti il più idoneo all’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’affidamento. Il diritto pubblico ha lo scopo di premiare il ‘merito’ degli operatori privati, stimolandone efficienza e innovazione, e non di minare e rallentare le missioni degli apparati pubblici. 

Gli errori, le omissioni dichiarative e documentali che non intaccano le predette garanzie sostanziali, in quanto non alterano in alcun modo il leale confronto competitivo, non avvantaggiano cioè nessun concorrente a discapito degli altri, non possono quindi avere portata espulsiva. 

Nel solco della stessa direttrice valoriale si colloca, in tema di avvalimento, anche l’art. 89, comma 3, del codice dei contratti pubblici, secondo cui la stazione appaltante impone «all’operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione». 

Su queste basi, è evidente come, nel caso di specie, non sia ravvisabile un uso distorto del soccorso istruttorio. 

L’Amministrazione ha consentito infatti di documentare (attraverso l’allegazione dei bilanci) il possesso in proprio di un requisito (il fatturato) posseduto ex ante (circostanza pacifica e incontestata nel presente giudizio). 

La precisazione fornita non implica nessuna modifica della domanda di partecipazione né, tanto meno, dell’offerta, ragione per cui è del tutto fuorviante parlare di «novazione», espressione che nel lessico giuridico alluderebbe ad una modifica della ‘base negoziale’ posta a base della partecipazione in gara. 

Per di più, il possesso in proprio del requisito del fatturato globale emergeva anche dalla documentazione prodotta unitamente alla domanda di partecipazione, ed in particolare dal possesso dell’attestato SOA per le categorie e qualifiche prescritte dalla lex specialis

In definitiva, l’Amministrazione ha fatto buon governo della legge e dello stesso disciplinare che, all’art. 14, nel delineare i presupposti e le modalità del soccorso istruttorio prevedeva che «la successiva correzione o integrazione documentale è ammessa laddove consenta di attestare l’esistenza di circostanze preesistenti, vale a dire requisiti previsti per la partecipazione e documenti/elementi a corredo dell’offerta». 

Giudizio di anomalia dell'offerta

Valutazione Anomalia dell&#39;Offerta: compiti del RUP e della Commissione

L’art. 95, comma 10-bis, d.lgs. n. 50 del 2016 impone alle stazioni appaltanti di non superare nell’assegnazione del “monte punti” il tetto del 30 per cento del punteggio complessivo per la componente economica dell’offerta, mentre relativamente al punteggio da attribuire per la componente tecnica delle offerte alle imprese partecipanti ad una gara da aggiudicarsi mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il Legislatore non impone alle stazioni committenti di privilegiare i fattori valutazionali di tipo discrezionale rispetto a quelli dal taglio oggettivo.

          Non è anomala un’offerta per avere l’aggiudicataria effettuato una sottostima dei costi relativi ai compensi per l’assistenza legale resa nella fase della gestione dei sinistri sotto franchigia di legali all’uopo incaricati, a causa di uno scostamento dai valori tabellari concernenti i compensi professionali spettanti agli avvocati in base al d.m. n. 55 del 2015 e non integra una palese incongruità la clausola della legge di gara che abbia previsto l’importo di € 250, prefissato quale compenso per ogni sinistro per il quale venga prestata assistenza legale . 

Tar Lazio, sez. III, 10 febbraio 2022, n. 1591

La Sezione ha ricordato che anche il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla legittimità del criterio di valutazione “on/off”, sia pur in termini più generali, sancendo che “Il sistema di valutazione “on-off” non è di per sé incompatibile con il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Ai sensi dell'art. 95, d.lgs. n. 50 del 2016, infatti, è necessario assicurare, attraverso i criteri valutativi, la valorizzazione delle offerte tecniche e un confronto concorrenziale tra i partecipanti, rientrando nell'ampia discrezionalità della stazione appaltante la loro concreta individuazione e ponderazione” (Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5026).
La stessa Sezione ha di recente ritenuto legittima una la gara sotto il profilo dell’utilizzazione di criteri valutazionali tabellari, tipo on/off.” (Tar Lazio, sez. III, 11 gennaio 2021, n. 330).
Ha poi chiarito la Sezione che la preminenza valutativa accordata a fattori oggettivamente riscontrabili sulla scorta di analisi tabellare, scevri quindi da giudizi discrezionali, risponde ad una avvertita istanza di arginamento e compressione della discrezionalità dell’amministrazione appaltante in armonia con i principi di trasparenza e non discriminazione enunciati all’art. 30, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che li eleva a canoni basilari dell’affidamento di appalti e concessioni (Tar Lazio, sez. III, 18 settembre 2020, n. 9610 sull’illegittima attrazione di fattori tabellari, misurabili quantitativamente, nell’alveo dei criteri discrezionali).
L’aver conferito peso preponderante ai fattori on/off rispetto a quelli descrittivo discrezionali rimonta ad una scelta discrezionale dell’amministrazione, insindacabile dal Giudice amministrativo fatte salve le ipotesi di emersione di macroscopici vizi logici, irragionevolezza o travisamento che nella specie non traspaiono (Cons. St., sez. V, 7 giugno 2021, n. 4031, che ha ribadito il principio, attinto più volte dalla giurisprudenza, secondo cui “la scelta operata dall’amministrazione appaltante, in una procedura di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, relativamente ai criteri di valutazione delle offerte … è espressione dell’ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l’interesse pubblico”). 

La Sezione ha poi chiarito che ha natura discrezionale il giudizio di congruità di un’offerta formulata in una gara d’appalto pubblico ove non vengano ad emergere macroscopiche illogicità o irragionevolezze, solo in costanza delle quali è consentito al giudice amministrativo operare un sindacato di pura legittimità la quale costituisce la soglia invalicabile che non è consentito al giudice superare, procedendo ad una diretta ed autonoma valutazione della congruità dell’offerta in sostituzione dell’organismo tecnico (commissione di gara ovvero commissione di valutazione della congruità dell’offerta appositamente nominata dalla stazione appaltante) deputato a formulare siffatto giudizio, avente natura spiccatamente connotata da discrezionalità tecnica.
La valutazione di anomalia (e non anomalia) dell’offerta deve essere particolarmente motivato, solo nell’ ipotesi in cui la valutazione di anomalia o meno di un’offerta risulti di segno negativo, ossia esiti, a seguito dell’esame delle giustificazioni prodotte dall’impresa aggiudicataria in sede procedimentale ovvero acquisite in seno al subprocedimento delineato dall’art. 97, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, in un giudizio finale di non congruità; là dove qualora il giudizio risulti di segno positivo – come nel caso di specie- dichiarando la congruità e bontà dell’offerta e la conseguente aggiudicazione, non si richiede l’assolvimento di un onere di rigorosa motivazione, potendo la positiva valutazione dell’amministrazione (ovvero della commissione appositamente nominata) essere operata anche per relationem alle giustificazioni prodotte. 
​​​​​​​Infine, la Sezione ricorda la natura discrezionale del giudizio di congruità di un’offerta formulata in una gara d’appalto pubblico ove non vengano ad emergere macroscopiche illogicità o irragionevolezze, solo in costanza delle quali è consentito al giudice amministrativo operare un sindacato di pura legittimità la quale costituisce la soglia invalicabile che non è consentito al giudice superare, procedendo ad una diretta ed autonoma valutazione della congruità dell’offerta in sostituzione dell’organismo tecnico (commissione di gara ovvero commissione di valutazione della congruità dell’offerta appositamente nominata dalla stazione appaltante) deputato a formulare siffatto giudizio, avente natura spiccatamente connotata da discrezionalità tecnica. Secondo indirizzo costante anche del Giudice d’appello, “Il giudizio sull’anomalia delle offerte presentate in una gara è un giudizio ampiamente discrezionale, espressione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza; il giudice amministrativo … non procedere ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, che costituirebbe un’inammissibile invasione della sfera propria della P.A. e tale sindacato rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto (Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2016, n. 211; nello stesso senso, già Cons. di Stato, sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3935 e, di recente, Cons. Stato, V, 24 agosto 2018, n. 5047)” 

Ampliamento edificio e ristrutturazione edilizia

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       Non rientrano nella nozione di ristrutturazione urbanistica “ordinaria” tutti gli interventi edilizi sulle preesistenze che comportino incrementi volumetrici e, nelle zone vincolate (come quella in esame), quelli che comportino modifiche della sagoma degli edifici

Cons. St., sez. I, 15 febbraio 2022, n. 378

Ha ricordato la Sezione che che l’art. 10 del Testo unico edilizia (nella formulazione vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato) prevede che “Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: …c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti…nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”. 

Da tale norma è dato di ricavare la sostanziale assimilabilità dell’intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza. 

In buona sostanza, quando l’intervento edilizio sulla preesistenza modifichi quest’ultima con riferimento ai parametri urbanistico-edilizi sopra evidenziati, l’opera in relazione a questi ultimi deve essere valutata come una innovazione rilevante in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio ed è soggetta, per le parti di interesse, alle regole generali che presidiano e disciplinano l’edificazione sul territorio comunale. 

Sicchè la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia “pesante” restano assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire e soggiacciono al regime delle distanze previsto dalla normativa urbanistica. 

Il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, IV, 2-4-2019, n. 2163; IV, n. 5466/2020) ha chiarito che, indipendentemente dalla qualificazione di un intervento in termini di ristrutturazione o di nuova costruzione, nell’ipotesi in cui un manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte poiché esso – quanto alla sua collocazione fisica – rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare le norme sulle distanze; precisandosi, altresì, che la distanza preesistente può essere conservata quando ci si contenga nei limiti preesistenti di altezza, volumetria e sagoma dell’edificio, mentre si ha un novum e, dunque, una nuova costruzione per ciò che eccede (cfr. Cons. Stato, IV, 12-10-2017, n. 4728). 

Dai principi giurisprudenziali innanzi richiamati, emerge chiaramente che ove l’intervento edilizio di ristrutturazione comporti incrementi volumetrici ovvero modifiche della sagoma, che si realizzino, come nella fattispecie in esame, nell’incremento dell’altezza del preesistente manufatto e nella realizzazione di una copertura piana in luogo di quella originaria inclinata, tali parti, connotate da innegabili profili di novità rispetto alla preesistenza, soggiacciono al limite delle distanze e non possono essere assorbiti dalla regola della mera osservanza delle distanze preesistenti applicabile alla porzione di edificio originaria 

Autorizzazione unica per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico

Impianto fotovoltaico in zona vincolata: si può installare? - Studio Legale  Avvocato Giuseppe Gandolfo - Marsala

Ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico, il modulo procedimentale prescelto dal legislatore è quello della conferenza di servizi e la presentazione della documentazione incide sullo svolgimento del procedimento, nel senso di impedirne la trattazione in caso di incompletezza.

C.g.a. 15 febbraio 2022 n. 197 

Ha ricordato il C.g.a. che al fine di scrutinare una domanda di risarcimento del danno per inosservanza del termine di rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico vale richiamare l’orientamento dell’Adunanza plenaria 23 aprile 2021 n. 7 in merito al fatto che il danno da ritardo segue le sorti del danno da mancato riconoscimento (illegittimo) del bene della vita. Ha aggiunto che, anche a ritenere ristorabile la lesione del bene tempo indipendentemente dalla spettanza del bene della vita anelato, va valutata, al fine di valutare la sussistenza del nesso di causalità, l’omissione di ogni comportamento esigibile da parte del preteso danneggiato, quali la presentazione di un’istanza completa, l’esercizio del potere di avocazione e delle azioni impugnatorie o avverso il silenzio, oltre che la proposizione del ricorso per ottemperanza. 

Ha altresì precisato che l’esame dell’ingiustizia del danno presuppone il bilanciamento fra le contrapposte sfere giuridiche, atteso che su entrambe le parti del rapporto di diritto pubblico gravano obblighi di buona fede e di collaborazione, che sono attualmente sanciti dall’art. 1 comma 2-bis legge n. 241 del 1990 ma erano già riconosciuti in precedenza dalla giurisprudenza (Ad. plen. 25 febbraio 2014 n. 9), sicché non può richiedersi che solo una di esse, la parte pubblica, sopporti le conseguenze pregiudizievoli che sono derivate dall’asserita violazione degli obblighi di collaborazione, se il privato si è sottratto anch’esso al canone collaborativo.

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