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Soccorso istruttorio e nuovo Codice dei contratti pubblici

Le tipologie di soccorso istruttorio nel nuovo Codice - Blog - Martino &  Partners

Si deve ritenere sanabile attraverso il soccorso istruttorio la documentazione, eventualmente incompleta o omessa, a comprova dei requisiti di partecipazione posseduti dall'operatore economico, a condizione che si tratti di circostanze effettivamente preesistenti rispetto al termine fissato per la presentazione delle offerte e che dunque l'irregolarità non evidenzi alcuna carenza sostanziale del requisito alla cui dimostrazione la documentazione omessa era finalizzata.

Nell'ambito di una gara d'appalto, la Stazione Appaltante, in sede di verifica dei requisiti, ex art. 32, comma 7 del d.lgs. 50 del 2016, inviava alla impresa aggiudicataria un avviso di avvio del procedimento chiedendo di produrre documentazione.

La comunicazione veniva riscontrata dall'aggiudicataria mediante allegazione della documentazione richiesta a seguito della quale, la Stazione Appaltante, esaminata tale produzione documentale in sede di verifica, procedeva all'aggiudicazione ex art. 32, comma 5 e 33, comma 1, del d.lgs. 50/2016.

Avverso tale aggiudicazione veniva proposto il ricorso giudiziale innanzi al TAR da un altro partecipante alla gara.

La Ricorrente lamentava la pretesa violazione da parte della Stazione Appaltante del principio di par condicio, ritenendo che l'amministrazione resistente avesse ecceduto i limiti prescritti dall'art. 32, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, non potendo la fase di verifica dei requisiti condurre a sopperire ad un requisito che non sia mai stato dichiarato nel DGUE o sia stato dichiarato nello stesso in modo diverso da quanto poi chiarito in sede di verifica.

In particolare, sia con riferimento alla documentazione amministrativa depositata dall'aggiudicataria, la ricorrente denunciava una serie di omissioni dichiarative, asseritamente insanabili e pertanto tali da giustificare l'esclusione dalla gara di entrambi gli operatori economici.

Il ricorso è stato rigettato, in quanto è stato ritenuta sanabile attraverso il soccorso istruttorio la presentazione parziale di documentazione a comprova dei requisiti di partecipazione posseduti dall'operatore economico, a condizione che si tratti di circostanze effettivamente preesistenti rispetto al termine fissato per la presentazione delle offerte e che dunque l'irregolarità non evidenzi alcuna carenza sostanziale del requisito alla cui dimostrazione la documentazione omessa era finalizzata.

Tale interpretazione è stata ritenuta conforme con la più ariosa prospettiva dischiusa, in termini solo parzialmente innovativi, dall'art. 101 del d.lgs. n. 36/2023 (il nuovo Codice dei contratti pubblici) assecondando una direttiva esegetica tendenzialmente non restrittiva e tenendo conto del programmatico ampiamento dell'ambito del soccorso.

In conclusione, anche nell'interpretazione delle norme contenute nel d.lgs. n. 50/2016, deve tenersi per ferma la non soccorribilità (sia in funzione integrativa, sia in funzione sanante) degli elementi relativi al contenuto dell'offerta (tecnica od economica): ciò che si porrebbe in contrasto con il superiore principio di parità dei concorrenti. Restano, per contro, ampiamente sanabili le carenze (per omissione e/o per irregolarità) della documentazione c.d. amministrativa.

E' quanto affermato da TAR Toscana, sez. IV, 29 gennaio 2024, sent. n. 117.

Principio del risultato e qualità della prestazione

Il “principio di risultato” nella bozza del nuovo Codice dei contratti  pubblici -

Il principio del risultato, codificato all’interno del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), impone che l’azione delle stazioni appaltanti si deve orientare all’affidamento del contratto ed alla sua esecuzione “con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo”.

Nella dinamica concorrenziale l’impresa deve essere  in grado di rispondere ad una domanda pubblica qualificata, nel senso della soddisfazione anche di interessi superindividuali ritenuti meritevoli dalla stazione appaltante, risultando ben possibile ridurre la platea degli operatori economici capaci di formulare un’offerta conforme al risultato che la commessa pubblica intende raggiungere. Nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche - uno “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente.

Se si considera tale fondamentale quadro, la “migliore offerta” è dunque quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti.
Nel caso di specie, l'appellante non è stata in grado di offrire un prodotto conforme agli standard qualitativi richiesti dalla stazione appaltante: dunque la sua offerta non poteva essere la migliore, e prima ancora non poteva essere ammessa in gara. Deve escludersi dal bando di gara che il possesso requisito relativo alla certificazione EMAS possa ricavarsi dalla valutazione di conformità al sistema di gestione ambientale UNI EN ISO 14001:2015.

Tale previsione, lungi dal ridursi ad un vuoto formalismo, è invece posta a presidio della sostanziale corrispondenza di quanto offerto a quanto domandato, dal momento che un accertamento meno rigoroso, o lasciato ad organismi o professionisti che non offrono le medesime garanzie, esporrebbe le amministrazioni, e soprattutto la platea dei fruitori del servizio, al rischio di una prestazione priva delle caratteristiche richieste.
Il problema della dimostrazione – secondo le modalità richieste – del requisito qualitativo non è dunque un problema di forma, ma di sostanza.

Ne consegue che non può richiamarsi a questo scopo il principio del risultato, anche alla luce del significato ad essa attribuito dal  d. lgs. n. 36 del 2023: questo infatti non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione.
Il richiamo alla nozione di risultato integra i parametri di legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito, e di metodo) oltre che di astratta conformità al paradigma normativo.


Nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, il risultato sotteso alla commessa riguarda, per precisa scelta dell’amministrazione committente, non la prestazione del servizio di ristorazione scolastica in quanto tale, ma quella relativa ad un servizio caratterizzato dalla conformità a politiche ambientali per lo sviluppo sostenibile.
Il fatto che l’operatore economico non possedesse il requisito richiesto (secondo le regole relative allo stesso) esclude che la selezione della sua offerta potesse rappresentare un risultato conforme alla tutela degli interessi sottesi alla commessa pubblica, come cristallizzati nella legge di gara, o addirittura la “migliore offerta” in un’ottica di risultato. Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza n. 11322/2023.

Le clausole ambigue nelle procedure di evidenza pubblica

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Nelle gare pubbliche, nell'interpretazione della lex specialis di gara, devono trovare applicazione le norme in materia di contratti, e dunque anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ.

Ciò significa che ai fini dell'interpretazione della lex specialis devono essere applicate anche le regole di cui all'art. 1363 cod. civ., con la conseguenza che le clausole previste si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo ad esse il senso che risulta dal complesso dell'atto. Pertanto se un'aporia tra i vari documenti costituenti la lex specialis impedisce l'interpretazione in termini strettamente letterali, è proprio la tutela dei principi dell'affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti che conduce all'interpretazione complessiva o sistematica delle varie clausole.

Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti, impongono pertanto in primo luogo di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato letterale.

Secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell'affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara, aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale (cfr. Cons. Stato, IV, 5 ottobre 2005, n. 5367; V, 15 aprile 2004, n. 2162)" (Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2017 n. 4307).

Peraltro, se il dato testuale presenti evidenti ambiguità, l'interprete, in forza del principio di favor partecipationis, deve prescegliere il significato più favorevole al concorrente (ex multis, Consiglio di Stato sez. V, 20 luglio 2023 n. n.7113).

Pertanto in presenza di clausole ambigue o di dubbio significato della lex specialis delle procedure di evidenza pubblica, in ossequio al principio del favor partecipationis - che sottende anche l'interesse pubblico al massimo dispiegarsi del confronto concorrenziale, inteso all'individuazione dell'offerta maggiormente vantaggiosa e conveniente per l'Amministrazione appaltante - deve privilegiarsi l'interpretazione che favorisca l'ammissione alla gara piuttosto che quella che la ostacoli (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14.5.2018, n. 2852). Inoltre, le clausole ambigue del bando di gara vanno interpretate anche in coerenza con le previsioni del codice dei contratti pubblici, a partire dal principio di tassatività delle cause di esclusione, con conseguente nullità degli atti adottati in contrasto con lo stesso.

In tale ottica è stato anche di recente osservato che a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola della lex specialis di gara (una avente quale effetto l'esclusione dalla gara e l'altra tale da consentire la permanenza del concorrente), non può legittimamente aderirsi all'opzione che, ove condivisa, comporterebbe l'esclusione dalla gara, dovendo essere favorita l'ammissione del più elevato numero di concorrenti, in nome del principio del favor partecipationis e dell'interesse pubblico al più ampio confronto concorrenziale" (ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26/05/2023 n. 5203).

Lo ha affermato la quinta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 295 del 9 gennaio 2024, intervenuta in materia di interpretazione della lex specialis di gara.

Agli appalti PNRR si applica il nuovo Codice dei contratti pubblici

Pnrr, la quota certa per il Sud ferma al 34% - Il Sole 24 ORE

Alle procedure finanziate con i fondi del PNRR vanno applicate le norme ed i principi del nuovo Codice dei contratti pubblici.

Lo hanno affermato TAR Lazio Roma, 03.01.2024, sent. n. 134 e TAR Umbria Perugia, 23.12.2023, sent. n. 758.

Il d.l. n. 77/2021 non reca una compiuta disciplina delle procedure di affidamento degli appalti finanziati con le risorse del PNRR.

Successivamente all’entrata in vigore e all’acquisto dell’efficacia delle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. n. 36/2023, alle procedure di affidamento di contratti finanziati con le risorse del PNRR continuano, tuttavia, ad applicarsi anche le norme derogatorie e, comunque, speciali di cui al d.l. n. 77/2021, come convertito, in forza della specifica previsione di cui all’art. 225, co. 8, del nuovo codice.

Ma al di là delle disposizioni derogatorie di cui al d.l. n. 77/2021 e delle altre fonti espressamente richiamate dall’art. 225, co. 8, del d.lgs. n. 36/2023, alle procedure finanziate con i fondi del PNRR, pur se bandite successivamente al 1.07.2021, dovranno trovare dunque applicazione, in via generale, le norme ed i principi del nuovo Codice dei contratti pubblici, dovendosi ritenere ad essi riferito «ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50».

Con particolare riferimento a tale ultima disposizione (art. 225, co.8 citato), i Giudici hanno rilevato che essa si limita a stabilire la perdurante vigenza delle sole norme speciali in materia di appalti PNRR (tra cui gli artt. 47 e ss. d. l. n. 77/21) ma non anche degli istituti del d. lgs. n. 50/16 in esso sporadicamente richiamati.

L'art. 226 del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023, dopo aver sancito l’abrogazione del d.lgs. n. 50/2016 dal 1 luglio 2023 e la sua residua applicazione «esclusivamente ai procedimenti in corso» (commi 1 e 2), stabilisce al comma 5 che «ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 del 2016, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del codice o, in mancanza, ai principi desumibili dal codice stesso».

La contraria opzione ermeneutica, seguita dalla circolare del MIT del 12/07/23 collide con il ricordato disposto del comma 2 dell’art. 226 d. lgs. n. 36/23, che sancisce l’abrogazione del d. lgs. n. 50/16 a decorrere dal 01/07/23 senza alcuna eccezione, e con il comma 5 della medesima disposizione, secondo cui “ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 del 2016, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del codice o, in mancanza, ai principi desumibili dal codice stesso”.

Tali conclusioni sono desumibili dai seguenti articoli del predetto decreto legislativo  (D.Lgs. n. 36/2023):
– 229 comma 2, secondo cui “le disposizioni del codice, con i relativi allegati, acquistano efficacia il 1° luglio 2023”;
– 226 comma 2 lettera a) il quale prevede che, “a decorrere dalla data in cui il codice acquista efficacia ai sensi dell’articolo 229, comma 2, le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016 continuano ad applicarsi esclusivamente ai procedimenti in corso. A tal fine, per procedimenti in corso si intendono: a) le procedure e i contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano stati pubblicati prima della data in cui il codice acquista efficacia”;
– 225 comma 8 che stabilisce che “in relazione alle procedure di affidamento e ai contratti riguardanti investimenti pubblici, anche suddivisi in lotti, finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR e dal PNC, nonché dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea, ivi comprese le infrastrutture di supporto ad essi connesse, anche se non finanziate con dette risorse, si applicano, anche dopo il 1° luglio 2023, le disposizioni di cui al decreto-legge n. 77 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108 del 2021, al decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, nonché le specifiche disposizioni legislative finalizzate a semplificare e agevolare la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal PNRR, dal PNC nonché dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030 di cui al regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018”.

 

La piscina è una nuova costruzione e non una pertinenza

 

Casa Moderna con Piscina 6 - Costruire Bio

Una piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata configurando così una nuova costruzione e non già una mera pertinenza urbanistica del fabbricato cui accede. Tale nozione di pertinenza è invocabile solo per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia. Lo stabilisce il Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2 gennaio 2024, n. 44.

Il Consiglio di Stato si sofferma sulla nozione di pertinenza urbanistica, definendone contenuto e limiti operativi, così escludendo che una piscina possa ricondursi entro i confini di tale istituto.

Più volte la giurisprudenza ha precisato che la natura di pertinenza può essere riconosciuta, ai fini edilizi, in presenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale; nesso tale da consentire esclusivamente la destinazione della cosa accessoria ad un uso pertinenziale durevole ed escludere, così, una sua autonoma destinazione (Tar Sicilia, Catania sez. II, 11 agosto 2023, n. 2521).

Un tale nesso pertinenziale sussiste se l'opera ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla res cui inerisce, tale da renderla priva di un autonomo valore di mercato e non comportare un aumento del carico urbanistico, o una alterazione significativa dell'assetto del territorio (cfr. Cons. stato sez. VI, 30 gennaio 2023, n. 1000; Cons. stato sez. VI, 29 novembre 2022, n. 10476; Cons. stato sez. VI, 23 agosto 2022, n. 7369).

Sempre in materia edilizia, dunque, la natura pertinenziale è riferibile – come espressamente si sottolinea nella sentenza in esame - soltanto ai piccoli manufatti realizzati per contenere impianti tecnologici e simili, ma non anche a opere che, quanto a dimensioni e funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all’opera considerata principale e non risultino quindi coessenziali a quest’ultima (cfr. Cons. stato sez. VI, 23 maggio 2023, n. 5078;).

Con la precisazione che il collegamento tra pertinenza e bene principale non può essere apprezzato sul piano soggettivo. E cioè a dire, è del tutto irrilevante il tipo di destinazione che il proprietario abbia inteso imprimere all’opera avuto riguardo al caso concreto.

Ciò che invece deve sussistere è un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa pertinenziale ad un uso servente durevole, sussistendo altresì una dimensione ridotta e modesta del manufatto, rispetto alla cosa in cui esso inerisce (cfr. Cons. stato sez. VI, 19 maggio 2023, n. 5004).

 

Superlega: Uefa e Fifa violano il diritto europeo

Superlega e nuova Champions League, dov'è la concorrenza? | T. van der Burg

La Fédération Internationale de Football Association (FIFA) è un'associazione di diritto svizzero i cui obiettivi comprendono l'elaborazione di regolamenti che disciplinano il gioco del calcio, il controllo del gioco del calcio a livello mondiale, nonché l'organizzazione di proprie competizioni internazionali.

La FIFA è composta da federazioni calcistiche nazionali che sono membri di sei confederazioni continentali riconosciute - tra cui l'Unione delle Associazioni Calcistiche Europee (UEFA), un'associazione di diritto svizzero la cui missione consiste nel monitorare e controllare lo sviluppo di ogni tipo di calcio in Europa. In qualità di membri della FIFA e della UEFA, le federazioni nazionali hanno l'obbligo, tra l'altro, di far sì che i propri membri o affiliati rispettino gli statuti, i regolamenti, le direttive e le decisioni della FIFA e della UEFA, e di assicurarne l'osservanza da parte di tutti gli attori del calcio, in particolare delle leghe professionistiche, dei club e dei giocatori.

La FIFA e la UEFA hanno il potere di approvare lo svolgimento di competizioni calcistiche professionistiche internazionali, comprese le competizioni tra club calcistici affiliati a una federazione nazionale ("competizioni calcistiche interclub"). Esse possono anche organizzare tali competizioni e sfruttarne i diritti.

European Superleague Company SL ("ESLC") è una società di diritto spagnolo costituita su iniziativa di alcune società calcistiche professionistiche con l'obiettivo di organizzare una nuova competizione calcistica europea interclub nota come "Super League". 

In seguito all'annuncio della creazione della Super League, il 21 gennaio 2021 la FIFA e l'UEFA hanno emesso una dichiarazione congiunta in cui si rifiutavano di riconoscere la nuova competizione e avvertivano che qualsiasi giocatore o club che vi avesse preso parte sarebbe stato espulso dalle competizioni organizzate dalla FIFA e dall'UEFA. In un altro annuncio, la UEFA e alcune federazioni nazionali hanno ribadito la possibilità di adottare misure disciplinari nei confronti dei partecipanti alla Super League, in particolare escludendoli da alcune importanti competizioni europee e mondiali.

In queste circostanze, l'ESLC ha intentato un'azione legale presso il Juzgado de lo Mercantil no 17 de Madrid (Tribunale commerciale n. 17, Madrid, Spagna), chiedendo di dichiarare che tali annunci, e anche il comportamento con cui la FIFA e la UEFA e le loro federazioni nazionali affiliate avrebbero potuto metterli in atto, erano illegali e dannosi.

Il menzionato Tribunale ha ritenuto che la FIFA e la UEFA detengano un monopolio o, almeno, una posizione dominante nel mercato dell'organizzazione e della commercializzazione delle competizioni calcistiche internazionali interclub, nonché dello sfruttamento dei vari diritti relativi a tali competizioni.

In tale contesto, la Corte di giustizia è stata interessata della questione pregiudiziale relativa alla compatibilità di alcune disposizioni degli Statuti della FIFA e della UEFA con il diritto dell'Unione, in particolare gli articoli 101 e 102 del TFUE, nonché le disposizioni relative alle varie libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE.

Con la sua sentenza del 21 dicembre 2023, resa nella causa C 333/21, la Corte di giustizia, riunita in Grande Sezione, ha affermato che le norme della FIFA e della UEFA, riguardanti, da un lato, l'approvazione preventiva delle competizioni calcistiche internazionali interclub, la partecipazione di club e giocatori, nonché le sanzioni previste per accompagnare tali norme, e, dall'altro, lo sfruttamento dei vari diritti connessi a tali competizioni, possono essere considerate come un abuso di posizione dominante ai sensi dell'articolo 102 TFUE, nonché un accordo anticoncorrenziale ai sensi dell'articolo 101 TFUE.

La Corte osserva che, in quanto attività economica, la pratica dello sport è soggetta alle disposizioni del diritto dell'Unione applicabili a tale attività, a prescindere dalla loro provenienza dalla FIFA o dalla UEFA. Le norme oggetto del rinvio pregiudiziale rientrano nell'ambito delle disposizioni del Trattato relative al diritto della concorrenza e a quelle relative alle libertà di circolazione.

La FIFA e la UEFA devono essere qualificate come "imprese" ai fini del diritto della concorrenza dell'UE in quanto esercitano attività economiche quali l'organizzazione di competizioni calcistiche e lo sfruttamento dei relativi diritti.

La Corte afferma che le caratteristiche specifiche del calcio professionistico, tra cui la sua notevole importanza sociale e culturale e il fatto che esso generi un grande interesse mediatico, unitamente al fatto che esso si basa sull'apertura e sul merito sportivo, consentono di ritenere legittimo assoggettare l'organizzazione e lo svolgimento delle competizioni internazionali di calcio professionistico a regole comuni volte a garantire l'omogeneità di tali competizioni, le pari opportunità e il merito. È inoltre legittimo, in linea di principio, garantire il rispetto di tali regole comuni attraverso norme come quelle messe in atto dalla FIFA e dalla UEFA sull'approvazione preventiva di tali competizioni e sulla partecipazione di club e giocatori.

Tuttavia, ciò non consente di considerare legittima l'adozione o l'attuazione di norme e sanzioni, in assenza di un quadro di criteri sostanziali e di norme procedurali dettagliate idonee a garantirne la trasparenza, l'obiettività, la non discriminazione e la proporzionalità. Le sanzioni devono essere determinate secondo il principio di proporzionalità, alla luce, tra l'altro, della natura, della durata e della gravità dell'infrazione riscontrata.

Ne consegue che l'adozione e l'attuazione di norme da parte di FIFA e UEFA in materia di approvazione preventiva, partecipazione e sanzioni, in assenza di un quadro normativo che preveda criteri sostanziali e norme procedurali dettagliate idonee a garantirne la trasparenza, l'obiettività, la precisione, la non discriminazione e la proporzionalità, costituiscono un abuso di posizione dominante ai sensi dell'articolo 102 TFUE.

Per quanto riguarda l'applicazione dell'articolo 101 TFUE a tali norme, la Corte osserva che, sebbene le ragioni dichiarate per l'adozione di norme sull'approvazione preventiva delle competizioni calcistiche interclub possano includere il perseguimento di obiettivi legittimi, come garantire il rispetto dei principi, dei valori e delle regole del gioco alla base del calcio professionistico, esse conferiscono alla FIFA e all'UEFA il potere di autorizzare, controllare e stabilire le condizioni di accesso al mercato interessato per qualsiasi impresa potenzialmente concorrente, e quindi di determinare sia il grado di concorrenza che può esistere su quel mercato sia le condizioni in cui tale concorrenza potenziale può essere esercitata.

Inoltre, le norme di FIFA e UEFA sulla partecipazione di club e giocatori a tali competizioni sono suscettibili di rafforzare l'oggetto anticoncorrenziale insito in ogni meccanismo di approvazione preventiva, impedendo a qualsiasi impresa che organizzi una competizione potenzialmente concorrente di coinvolgere i club e i giocatori, i quali sono sanzionabili se partecipano a una competizione che non ha avuto l'approvazione preventiva della FIFA e dell'UEFA.

Ne consegue che, in assenza di un quadro normativo che preveda tali criteri sostanziali o norme procedurali dettagliate, le norme in questione rivelano, per loro stessa natura, un grado sufficiente di pregiudizio per la concorrenza. Di conseguenza, esse rientrano nell'ambito di applicazione del divieto di cui all'articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

Le regole poste da FIFA e UEFA hanno lo scopo di riservare a tali entità l'organizzazione di qualsiasi competizione, con il rischio di eliminare qualsiasi concorrenza da parte di imprese terze, il che significa che tale comportamento costituisce un abuso di posizione dominante vietato dall'articolo 102 TFUE, non giustificato, inoltre, da necessità tecniche e commerciali. Le norme sono inoltre idonee a impedire qualsiasi concorrenza tra le società calcistiche professionistiche affiliate alle federazioni calcistiche nazionali aderenti alla FIFA e all'UEFA nella commercializzazione dei vari diritti relativi alle partite cui esse partecipano, a scapito delle imprese terze che operano in una serie di mercati mediatici dei servizi situati a valle di tale commercializzazione, nonché dei consumatori e dei telespettatori.

Ne consegue che tali norme hanno come "oggetto" l'impedimento o la restrizione della concorrenza sui diversi mercati interessati ai sensi dell'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, e costituiscono un "abuso" di posizione dominante ai sensi dell'articolo 102 TFUE.

La Corte ritiene che le norme in materia di autorizzazione preventiva, partecipazione e sanzioni costituiscano un ostacolo alla libera prestazione dei servizi sancita dall'articolo 56 del TFUE. Consentendo alla FIFA e all'UEFA di esercitare un controllo discrezionale sulla possibilità per qualsiasi impresa terza di organizzare e commercializzare competizioni calcistiche interclub sul territorio dell'Unione, sulla possibilità per qualsiasi club calcistico professionistico di partecipare a tali competizioni nonché, a titolo di corollario, sulla possibilità per qualsiasi altra impresa di fornire servizi connessi all'organizzazione o alla commercializzazione di tali competizioni, tali norme tendono non solo a ostacolare o a rendere meno attraenti le varie attività economiche interessate, ma a impedirle del tutto, limitando l'accesso a qualsiasi nuovo arrivato. Inoltre, l'assenza di un quadro normativo che contenga criteri oggettivi e non discriminatori noti in anticipo non consente di ritenere che la loro adozione sia giustificata da un obiettivo legittimo di interesse pubblico.

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