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L'omessa dichiarazione di pregressa iscrizione nel Casellario non costituisce mendacio e non può comportare l'irrogazione di sanzioni ANAC

L'iscrizione nel Casellario informatico dell’ANAC di una sanzione (nel caso specifico pari a quindici giorni di interdizione dalla partecipazione alle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto) costituisce un'informazione potenzialmente rilevante per la formazione in capo alla stazione appaltante di una decisione consapevole circa il possesso dei requisiti di partecipazione, avuto riguardo alla presenza di circostanze pregresse valutabili quale “grave illecito professionale”.

L'omessa dichiarazione della predetta iscrizione non integra il presupposto del “mendacio” richiesto dalla norma, che consente all’Anac di irrogare sanzioni, presupposto che si configura, secondo l’Adunanza Plenaria n. 16/2020, solo nel caso di dichiarazioni “obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità”.

Nella fattispecie, infatti, la ricorrente ha taciuto l’esistenza di circostanze pregresse che la stazione appaltante può reputare in grado di incidere negativamente sulla sua affidabilità ma non ha anche reso una dichiarazione falsa.

Di conseguenza, aderendo all’interpretazione restrittiva della disposizione, non poteva essere applicata la fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 213 comma 13 del d.lgs. 50/2016.

TAR Roma, 18.01.2021 n. 10659

Motivazione rafforzata per l'affidamento in house

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito (cfr. Cons. St., sez. V, sent. n. 1564 del 3 marzo 2020) che: a) il primo presupposto per procedere mediante l’ “in house” consiste nell’obbligo di motivare le ragioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato.

Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato “fallimento del mercato”, rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”, cui la società in house invece supplirebbe.

La previsione dell’ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese.

La stessa giurisprudenza ha, inoltre, precisato che, “trattandosi di valutazione unitaria e complessa, in quanto finalizzata a sintetizzare entro un quadro unificante (rappresentato dai vantaggi insiti nell’affidamento in house rispetto a quelli derivanti dal meccanismo concorrenziale) dati molteplici e variegati (secondo lo spettro valoriale dianzi richiamato), il sindacato del giudice amministrativo non potrà che svolgersi secondo le coordinate tipiche del potere discrezionale, rifuggendo quindi da una analisi di tipo atomistico e parcellizzato della decisione amministrativa portata alla sua cognizione, ma orientandolo verso una valutazione di complessiva logicità e ragionevolezza del provvedimento impugnato”.

Ne consegue che l’obbligo motivazionale che si impone all’Ente refluisce, sul piano istruttorio, nella attribuzione alla stessa Amministrazione della scelta, anch’essa tipicamente discrezionale, in ordine alle modalità più appropriate a percepire, in relazione alla concreta situazione di fatto, i dati necessari al fine di compiere, in maniera oggettiva quanto completa, la predetta valutazione di preferenza.

Tale metodo impone all’Amministrazione di prendere in considerazione sia la soluzione organizzativa e gestionale praticabile attraverso il soggetto in house, sia la capacità del mercato di offrirne una equivalente, se non maggiormente apprezzabile, sotto i profili della “universalità e socialità, efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche”. Sotto questo profilo, le valutazioni da esprimere (benefici per la collettività e fallimento del mercato) possono essere accorpate in un’unica motivazione che esponga in modo «ragionevole e plausibile le ragioni che, nel caso concreto», hanno condotto l’amministrazione «a scegliere il modello in house rispetto alla esternalizzazione (v. Cons. St., sent. 2102/2021).

Stanti i rassegnati limiti di sindacato, la verifica del giudice amministrativo dovrà, pertanto, arrestarsi allo scrutinio esogeno della funzione amministrativa esercitata, avuto riguardo alla idoneità delle modalità sottese alla scelta a fornire un quadro attendibile ed esaustivo della realtà fattuale rilevante nei sensi illustrati.

Consiglio di Stato, sez. IV, 19.10.2021 n. 7023

Illegittimità del divieto assoluto di subappalto

Non è consentito l'inserimento di un divieto indiscriminato al ricorso del subappalto nella legge di gara. Lo ha affermato l’Autorità Nazionale Anticorruzione nella seduta di Consiglio del 20 ottobre 2021. Il caso sottoposto atteneva all'esclusione dalla gara dell'operatore economico per aver indicato di voler affidare in subappalto parte delle opere impiantistiche/edili.

ANAC ha ribadito il divieto assoluto di porre clausole che precludano il ricorso al subappalto. Ha accertato non conforme alla normativa di settore l’esclusione dalla gara dell’operatore economico disposta in ragione dell'indicazione in offerta del ricorso al subappalto. L'esclusione così disposta è illegittima “per violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, in forza del quale i bandi e le lettere d’invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal Codice e da altre previsioni di Legge”.

Richiama la sentenza della Corte di Giustizia (26 settembre 2019), che ha affermato come finanche il limite quantitativo al subappalto si ponga in contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di facilità di accesso alle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.

L'ANAC conclude nel senso che il divieto assoluto di subappalto si pone in contrasto con l’obiettivo di facilitare l’accesso al mercato delle imprese, ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi e precludendo agli stessi committenti pubblici di ottenere un numero più alto e diversificato di offerte.

Delibera ANAC n.  694 del 20.10.2021

Dilazione temporale del termine per presentare ricorso avverso l'aggiudicazione

Il Consiglio di Stato, condividendo l’esigenza della effettività e della pienezza della tutela, sottolinea che i meccanismi previsti dal d.lgs. n. 50/2016 per garantire la conoscenza e la conoscibilità degli atti di gara sono significativamente mutati rispetto a quelli prima previsti dal d.lgs. n. 163/2006, con conseguente nuova articolazione dei momenti in cui sorge l’onere dell’impugnazione giurisdizionale.

A conclusione di un ampio iter argomentativo, l’Adunanza plenaria è giunta all’affermazione dei seguenti principi di diritto:

«a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;

b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale;

c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la ‘dilazione temporale’ quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;

d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione;

e) sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati».

 Con particolare riguardo alla “dilazione temporale” determinata dalla presentazione dell’istanza di accesso (lett. c) dei principi di diritto sopra riportati), lo stesso Consiglio di Stato ha successivamente precisato che «più tempestiva è l’istanza di accesso che il concorrente presenti una volta avuta conoscenza dell’aggiudicazione, maggiore sarà il tempo a sua disposizione per il ricorso giurisdizionale; quel che non può consentirsi è che il concorrente possa, rinviando nel tempo l’istanza di accesso agli atti di gara, posticipare a suo gradimento il termine ultimo per l’impugnazione dell’aggiudicazione» (Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127).

Tali ultime considerazioni lasciano intendere che non può essere indifferente, ai fini del computo del termine decadenziale per l’impugnazione dell’aggiudicazione, l’atteggiamento dell’operatore economico interessato e, dunque, la sua maggiore o minore prontezza nell’esercizio dell’accesso agli atti (i documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario; le giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta) dalla cui conoscenza conseguano i motivi di ricorso.

Ed infatti, la giurisprudenza successiva alla pronuncia dell’Adunanza plenaria (ma già in quella precedente si rinviene l’espressione della medesima regola: cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 16.10.2019, n. 2404) ha chiarito che ai fini del computo del termine a disposizione per ricorrere avverso gli atti oggetto di ostensione documentale va tenuto conto sia dei ritardi della stazione appaltante, sia del comportamento eventualmente inerte dell’operatore economico.

Pertanto, se, da una parte, il rifiuto o il differimento dell’accesso da parte della stazione appaltante non determina la “consumazione” del potere di impugnare, dall’altra parte «ogni eventuale giorno di ritardo del concorrente non aggiudicatario che intenda accedere agli atti deve essere computato, a suo carico, sul termine complessivamente utile per proporre gravame (…). In altre parole, al termine ordinario di 30 giorni occorrerà se del caso sottrarre i giorni che ha impiegato la PA per consentire l’accesso agli atti (termine non a carico del privato) e allo stesso tempo aggiungere i giorni “a carico” del ricorrente, pari ossia al tempo impiegato tra la comunicazione di aggiudicazione e la domanda di accesso» (TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 15 dicembre 2020, n. 13550; anche TAR Lazio, sez. I-ter, 12 aprile 2021, n. 4249; TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 29 luglio 2021, n. 747).

Così, «se l’impresa interessata presenta immediatamente istanza di accesso ha a disposizione l’integrale termine di 30 giorni per formulare censure derivanti dalla presa visione della documentazione, decorrenti dal momento in cui riceve il riscontro della Stazione appaltante. Se invece l’impresa non procede all’immediata presentazione dell’istanza di accesso, il relativo ritardo determina una progressiva erosione dei giorni a disposizione per impugnare tramite motivi aggiunti, atteso che l’inerzia dell’impresa istante non può costituire un mezzo a disposizione dell’impresa per dilatare ad libitum i termini di legge. Diversamente ragionando, si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che si siano immediatamente attivati con l’accesso agli atti e coloro che, invece, abbiano ritardato nel presentare tale istanza, in tal modo determinando quegli effetti dilatori che la pronuncia dell’Adunanza Plenaria mira ad evitare» (TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 24 novembre 2020, n. 12480).

Per le stesse ragioni, è stato ritenuto che «nel caso in cui il comportamento della stazione appaltante non sia dilatorio, il termine di impugnazione degli atti di gara non inizierà a decorrere solo dalla conoscenza dei medesimi atti da parte del ricorrente, ma da un momento antecedente, ossia quello in cui il ricorrente avrebbe potuto ottenere i documenti richiesti ma che non ha ottenuto per un suo ritardo nell’azione di accesso, atteso che sempre secondo quanto statuito da Adunanza Plenaria n. 12/2020, si deve “… comunque tenere conto anche di quando l’impresa avrebbe potuto avere conoscenza degli atti, con una condotta ispirata alla ordinaria diligenza”, in quanto, altrimenti, con condotte dilatorie ad hoc, l’impresa potrebbe avvalersi di un termine di impugnazione maggiore di quello previsto per legge» (TAR Emilia-Romagna, sez. I, Parma, 22 luglio 2020, n. 139).

TAR Perugia, 19.10.2021 n. 736

Onere di immediata impugnazione della legge di gara richiedente pregressa esperienza per servizi identici

Secondo condivisibili principi giurisprudenziali (da ultimo, Consiglio di Stato sez. V, 31/03/2021, n.2710), “Ai fini della configurazione del requisito dell'esperienza pregressa, la richiesta di avere svolto servizi uguali, piuttosto che analoghi, rientra nell'ampia discrezionalità della quale godono le stazioni appaltanti nell'individuazione dei requisiti speciali di partecipazione purché “attinenti e proporzionati all'oggetto dell'appalto, tenendo presente l'interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione” ( art. 83, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016).

L’asserita irragionevolezza della legge di gara, ove mai sussistente, avrebbe dovuto essere fatta valere immediatamente dalla parte ricorrente con la tempestiva impugnazione della legge di gara; in presenza, infatti, di una previsione della legge di gara che richiedeva testualmente l’effettuazione pregressa del medesimo servizio oggetto di gara, e che pertanto rivestiva per la ricorrente – sprovvista di tale requisito – carattere immediatamente escludente, la ricorrente avrebbe dovuto impugnarla nel termine decadenziale di 30 giorni dalla sua pubblicazione.

TAR Brescia, 19.10.2021 n. 880

Riassunzione part time di personale del gestore uscente ed elusione della clausola sociale

Nella sentenza in oggetto ha trovato conferma il consolidato orientamento (ex multis, Cons. Stato, VI, 21 luglio 2020, n. 4665) secondo cui la cd. clausola sociale è connotata da un necessario carattere di flessibilità, collocandosi nell’ambito della libertà d’impresa ed avendo quali parametri di riferimento le esigenze della stazione appaltante (che non possono comunque imporre un riassorbimento integrale del personale, in quanto verrebbero a limitare eccessivamente la libera iniziativa economica dell’operatore concorrente: così Cons. Stato, VI, 24 luglio 2019, n. 5243) e quelle dei lavoratori (non potendo l’elasticità di applicazione della clausola spingersi fino al punto da legittimare politiche aziendali di dumping sociale in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro perseguito attraverso la stessa (così Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n.3885).

Nel caso deciso non vi era nella lex specialis di gara un obbligo di riassunzione dei lavoratori già alle dipendenze del precedente gestore, sì che la prospettazione contenuta nell’offerta dell'aggiudicataria circa lo svolgimento dell’appalto con l’impiego di otto nuovi lavoratori da assumere full time e fruenti di sgravi contributivi (a fronte della disponibilità di assumere part time il personale già alle dipendenze del gestore uscente, peraltro alla luce non di valutazioni potestative ma di due dati obiettivi quali il monte ore effettivamente assegnato dal committente ed il fabbisogno derivante dall’esecuzione del contratto) non è di per sé elusiva della clausola sociale.

In concreto era sostenibile l'offerta formulata in base all’assunzione (praticamente) full time di otto dipendenti con sgravi contributivi ed il reimpiego di otto/nove dipendenti della precedente gestione in regime part time (al 50-60% senza sgravi contributivi).

Consiglio di Stato, sez. V, 18.10.2021 n. 6957

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